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SappyModeratore
bello anche i riff e anche il video ma…bhè…se veniva fatta grezza in vecchio stile white stripes era meglio…. ico03
SappyModeratorechi sono>?
10 Gennaio 2008 alle 15:53 in risposta a: ki preferite fra i guns di axl rose e i nostri amati nirvana? #19353SappyModeratoresoltanto nirvana…i guns mi stanno sul c…o…ma di bruttoooo…..
SappyModeratoresi vede che sono figli della subpop…c’è anche jonathan ponemen nel video….bello bello!!! ico03
SappyModeratorenn sapevo che carlo lucarelli si è occupato pure di kurt…
SappyModeratoreio nn l’ho visto anche se amici mi hanno detto che è un pò diciamo palloso cmq ho visto delle foto del protagonista ed ho notato che è molto somigliante a kurt… ico03
SappyModeratorei mudhoney sono davvero forti…io ho un loro 45 giri…e mi reputo fortunato…anche perchè le song sdono stupende… ico03
SappyModeratoreVERDENA – REQUIEM
Ci si cominciava a chiedere che fine avessero fatto i Verdena dopo quello splendido Suicidio Del Samurai di tre anni fa che li aveva consacrati definitivamente come una tra le migliori rock-band italiane. E finalmente troviamo la risposta. Per Requiem i Verdena tornano ad essere un power-trio come dio comanda, abbandonando per strada il tastierista Fidel che in effetti non aveva lasciato ricordi indelebili nell’immaginario collettivo.
Le canzoni: quindici. Tante, si direbbe. In realtà almeno quattro sono intermezzi musicali ben caratterizzati: Marty In The Sky apre il disco con lo scoppio di una bomba e il clamore che ne consegue. Fin troppo facile intuire la metafora dell’album che provoca il botto. Meno allegorici gli altri tre “intervalli”: ritmo tribale per Aha, atmosfera cosmica per Opanono, semplice melodia per Faro.
Ma perché continuare a nascondersi dietro a queste inezie che non dicono nulla di rilevante?
E allora diciamolo: che i Verdena se ne sono usciti con un altro ottimo disco, uno di quelli che bastano due-tre ascolti per capire che vale davvero, che non è una bufala del momento. Che canzoni come Non Prendere L’acme, Eugenio, Isacco Nucleare e Il Gulliver non escono tutti i giorni nel depresso panorama musicale italiano.
E’ vero, i Verdena non hanno inventato nulla, assolutamente nulla. Questo è ormai un dato di fatto inequivocabile. E anche Requiem non offre nuove strade da percorrere alla musica contemporanea, ci mancherebbe. E’ però sicuramente un bel segnale di vita per il rock nostrano. Soprattutto per il fatto che il gruppo si avventura in territori musicali diversi dal solito, confermando la tendenza già mostrata nel precedente album di abbandonare le semplici canzoncine dai toni eccessivamente morbidi (qui rimane solo la tenera Trovami, un modo semplice per uscirne) e di evolversi verso un rock più sporco, lascivo e distorto.
Hard rock ma non solo, perché aldilà dei riff pesantissimi di Don Callisto e Il Caos Strisciante si rimane soprattutto sorpresi dalle sonorità post-stoner che traspaiono un po’ ovunque. Ascoltando brani come Isacco Nucleare, Canos, Was? e il singolo Muori Delay sembra proprio che Ferrari e compagni si siano fatti una scorpacciata della discografia dei Queens of the Stone Ages e poi abbiano tentato di imitarli. Il confine tra rielaborazione e plagio è molto sottile, e se optiamo per la prima opzione è perché comunque anche in questi brani traspare un’acquisita maturità compositiva e un’attitudine decadente e cupa tipica della band bergamasca.
Stupisce soprattutto il fatto che li avevamo lasciati ancora con l’etichetta di “Nirvana italiani” e li ritroviamo più eclettici, capaci di aumentare le dosi di psichedelia (a sprazzi in mezzo al wall of sound di Non Prendere L’acme Eugenio e nella lunga cavalcata di Sotto Prescrizione Del Dott. Huxley) e di fonderla con impreviste tendenze progressive le quali traspaiono nella splendida semi-ballata Angie e soprattutto nella coraggiosa Il Gulliver: dodici minuti di continui cambi di ritmo e riff devastanti in cui Ferrari alterna lingua italiana e inglese.
Quasi stupisce di trovare anche un brano interamente acustico: un’eccezione in mezzo a un disco possente, cattivo, a tratti incazzato. Una conferma importante. E forse anche qualcosa di più.SappyModeratoreKyuss
Blues For The Red Sun (Dali 1992)I californiani Kyuss (John Garcia al canto, Josh Homme alla chitarra, Nick Oliveri al basso e Brant Bjork alla batteria) sono i campioni riconosciuti dello stoner, genere a metà tra strada tra hard rock e psichedelia, sulle tracce di band come Blue Cheer, Black Sabbath e Hawkwind.
Blues For The Red Sun, loro terzo disco è anche il loro capolavoro: prodotto da Chris Goss dei Masters Of Reality e dal gruppo stesso,vede i ragazzi di Palm Desert definire le coordinate del genere, creando un suono che può essere definito con due aggettivi: “fat and loud”; ciò anche grazie a speciali accorgimenti tecnici, primo fra tutti l’uso di amplificatori da basso per le chitarre.
Il risultato è talmente suggestivo da dare l’impressione di essere catapultati in mezzo al deserto, sotto il sole accecante e in preda ai miraggi. Già la prima traccia Thumb rende bene l’idea di ciò che sarà il disco: intro arpeggiata affidata a un bordone di basso e ad un giro di chitarra blues. Ma neanche lo spazio di un minuto e ci si ritrova catapultati in una cadenzata marcia a ritmo di panzer, e, sopra tutto e tutti, la voce di Garcia, ruvida e sgraziata, ma piena di feeling. Il resto dell’album non concede alcuna tregua: Green Machine,la più rockeggiante, col suo riff frenetico e il refrain da cantare a squarciagola; l’allucinato blues di Thong Song, che alterna momenti di calma apparente e violente esplosioni, prima di lanciarsi in un disperato finale, in cui troneggia la voce di Garcia, ossessiva e lancinante. Alien’s Wrench è un assalto all’arma bianca, rumoroso come solo dei Blue Cheer moltiplicati al cubo avrebbero potuto fare. Writhe è un’atipica pop song dall’andatura sonnolenta, che richiama certe produzioni degli Smashing Pumpkins. Ci sono poi pezzi lunghi, quasi tutti interamente strumentali, nei quali i Kyuss danno pieno sfogo alla loro anima lisergica: c’è la corsa sfrenata verso il nulla di 50 Million Year Trip, l’incubo paranoico di Mondo Generator, nella quale il cantato di Garcia si riduce a un ammasso di urla filtrate, c’è soprattutto Freedom Run, che dopo un intro a base di effetti spaziali e voci in loop, si lancia in un imprendibile cavalcata, acida e marziale.SappyModeratoreKyuss
Blues For The Red Sun (Dali 1992)I californiani Kyuss (John Garcia al canto, Josh Homme alla chitarra, Nick Oliveri al basso e Brant Bjork alla batteria) sono i campioni riconosciuti dello stoner, genere a metà tra strada tra hard rock e psichedelia, sulle tracce di band come Blue Cheer, Black Sabbath e Hawkwind.
Blues For The Red Sun, loro terzo disco è anche il loro capolavoro: prodotto da Chris Goss dei Masters Of Reality e dal gruppo stesso,vede i ragazzi di Palm Desert definire le coordinate del genere, creando un suono che può essere definito con due aggettivi: “fat and loud”; ciò anche grazie a speciali accorgimenti tecnici, primo fra tutti l’uso di amplificatori da basso per le chitarre.
Il risultato è talmente suggestivo da dare l’impressione di essere catapultati in mezzo al deserto, sotto il sole accecante e in preda ai miraggi. Già la prima traccia Thumb rende bene l’idea di ciò che sarà il disco: intro arpeggiata affidata a un bordone di basso e ad un giro di chitarra blues. Ma neanche lo spazio di un minuto e ci si ritrova catapultati in una cadenzata marcia a ritmo di panzer, e, sopra tutto e tutti, la voce di Garcia, ruvida e sgraziata, ma piena di feeling. Il resto dell’album non concede alcuna tregua: Green Machine,la più rockeggiante, col suo riff frenetico e il refrain da cantare a squarciagola; l’allucinato blues di Thong Song, che alterna momenti di calma apparente e violente esplosioni, prima di lanciarsi in un disperato finale, in cui troneggia la voce di Garcia, ossessiva e lancinante. Alien’s Wrench è un assalto all’arma bianca, rumoroso come solo dei Blue Cheer moltiplicati al cubo avrebbero potuto fare. Writhe è un’atipica pop song dall’andatura sonnolenta, che richiama certe produzioni degli Smashing Pumpkins. Ci sono poi pezzi lunghi, quasi tutti interamente strumentali, nei quali i Kyuss danno pieno sfogo alla loro anima lisergica: c’è la corsa sfrenata verso il nulla di 50 Million Year Trip, l’incubo paranoico di Mondo Generator, nella quale il cantato di Garcia si riduce a un ammasso di urla filtrate, c’è soprattutto Freedom Run, che dopo un intro a base di effetti spaziali e voci in loop, si lancia in un imprendibile cavalcata, acida e marziale.SappyModeratorema poi quà siamo su nirvana italia…no su kylieitalia o qualsiasi sia il sito…quindi vai a fare pubblicità dA un’altra parte… ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03
SappyModeratorebelli…però se erano in italiano era meglio…però…vabbè…nn si può mica avere tutto dalla vita… ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03 ico03
SappyModeratoreSappyModeratoreSappyModeratorenn sapevo che kurt ascoltasse pure i public enemy… ico06
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