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  • in risposta a: RECENSIONI #19275
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    Kurt a te non piacciono vero? Ascolta l’album però, probabilmente cambi idea ico02

    in risposta a: RECENSIONI #19274
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    To Here Knows When :

    in risposta a: RECENSIONI #19273
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    Loveless – My Bloody Valentine (1991)

    E’ il 1991, e gli Irlandesi My Bloody Valentine danno alle stampe il loro secondo album.Loveless. I MBV hanno publcato un’infinità di Demo e di LP, e solo nel 1988 riescono a publicare il loro primo album:Isn’t Anything.
    La musica dei My Bloody Valentine è strana, ma strana forte. Dalla chitarra provengono un’infinità di rumori, al limite tra Noise Rock e vera e propia cacofonia, mentre la voce(stupenda) crea una melodia, una melodia stupenda al limite tra Psichedelia e Art Rock.
    Questa musica strana ha un nome, viene chiamata Shoegaze, ed un sottogenere nato nell’Underground del Regno Unito verso la fine degli Anni 80 e finito nel 1991. Si, propio il 1991, l’anno in qui i My Bloody Valentine publicano il loro capolavoro…o meglio il capolavoro dello Shoegaze e di tutti gli anni 90. Davvero un’opera d’arte.
    Il dico inizia con Only Shallow. E’ la traccia perfetta per cominciare. Chitarre quasi “stonate”e la voce di Bilinda Butcher che fa sognare. E’ sicuramente una delle canzone più facili all’ascolto, e meno cacofoniche.
    La secondo canzone è Loomer.TERRIFICANTE.Estrema.Bellissima. Devo essere sincero. La prima volta che ho ascoltato questa canzone sono rimasto basito. Credevo stessero suonando dei bambini, ma poi ascoltandola più volte la melodia creata dalla Butcher e tutti quei rumori mi sono entrati nel crervello.
    Ok. La terza traccia, Touced solo ad introdurci la canzone seguente…
    Siamo arrivati. To Here Knows When è il capolavoro nel capolavoro. Una canzone mozzafiato, qui si esprime al massimo il concetto di “Shoegazing”. Solo rumore provienienta dalla chitarra di Kevin Shields, la voce di Bilinda crea la melodia perfetta, una melodia che può prendere il posto della camomilla. La voce però si sente a stento, dato che la montagna che è schiacciata dalla montagna di rumore.
    Il resto delle canzoni sono minori rispetto alle prime 4, apparte Sometimes che è una delle canzoni più belle del disco, dove la chitarra acustica di Kevin Shields fa da accompagnamento ai classici suoni Noise che contraddistunguono tutto l’album.
    Consiglio davvero a tutti di ascoltare questa perla, ultimo album di questo fenomeno puramente Underground e riconosciuto universalmente come IL MIGLIORE di tutto il genere.

    in risposta a: Carbelate #14061
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    La vita di cech: Sesso, droga e Rock n’Roll…
    A proposito di droga…ieri stavo quasi per morire ico04 …meglio non parlarne ico03

    in risposta a: Tokio Hotel plagiano Nirvana #20852
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    thebeatter – 1/5/2008 2:20 AM

    ico09 ico09 ico09 ico09 ico09 ico09 SONO ARRIVATI……. LI STAVO ASPETTANDO ico09 ico09 ico09 ico09 ico09 ico09 ico09 ico09

    Che belli! ico05

    in risposta a: Cosa pensate degli Iron maiden #22629
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    Uno dei miei gruppi preferiti. Li amo alla follia, soprattuttto il loro primo album…SBAVO!!!
    Poi assistere ad un concerto degli Iron è qualcosa di straordinario. Hanno una carica nei live che è difficile(o meglio, impossibile ico03 )trovare in un’altra band.

    in risposta a: Magliette Ufficiali Nirvana Italia #22255
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    W il venditore ambulante Cech!!!

    in risposta a: Pat Smear canta o suona ? #22508
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    Cmq amo i Germs. ico03 ico03 ico03 ico03

    in risposta a: Cosa state ascoltando? #12537
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    Santana – Europa

    in risposta a: Il decalogo della buona canzone #22642
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    Bella domanda!
    Secondo me una canzone è bella quando è fatta col cuore. Una canzone può essere difficile tecnicamente, con assoli da paura ecc, ma se è priva di passione non andrà da nessuna parte.

    W LA FIERA DELLA BANALITA’ ico03

    in risposta a: Magliette Ufficiali Nirvana Italia #22254
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    ico03 ico03

    in risposta a: Magliette Ufficiali Nirvana Italia #22253
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    Comunque preferisco Orietta Berti agli S’n’P (gesto dell’ombrello ico03 )

    in risposta a: RECENSIONI #19272
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    Close to the Edge – Yes (1973)

    Il 1973 per il progressive rock fu probabilmente il momento di massimo splendore, durante il quale molti dei gruppi di riferimento del genere raggiunsero i loro vertici espressivi.
    Gli Yes non fecero eccezione: grazie alla spinta del poderoso volano “Fragile”, composto l’anno precedente e salito fino al quarto posto della classifica inglese, si accinsero a comporre quella che sarà la loro opera migliore, la più poderosa e caratterizzata dal giusto equilibrio tra l’arrangiamento estremo, definitivamente la peculiarità di questa band, e la giusta dose di visionaria suggestione.
    Purtroppo questo delicato compromesso tra sfoggio tecnico, dilatazione esecutiva e follia compositiva non ha retto, derivando la band in un primo momento verso l’enormità di “Tales from the Topographic Ocean” (quattro LP di smisurata vastità sonora) e successivamente verso la follia di “Relayer”, i quali pur risultando ancora notevolissimi come sforzo di song-writing fanno dell’estremismo il loro punto di forza risultando meno accattivanti.
    “Close to the Edge”, viceversa, è un disco di equilibrio. Proprio per questa ragione il batterista Bill Bruford vede questa release, e soprattutto la title-track, come la sua massima espressione di batterista rock di stampo “convenzionale”: il suo arrangiamento è semplicemente perfetto per la natura rock sinfonica dell’opera. Come si era già notato nel precedente “Fragile”, Bruford non è mai stato un musicista legato ad una qualche tradizione, a degli schemi prescritti: ha sempre cercato nuove direzioni, una reale progressione della visione tradizionale della batteria. Non uno strumento prettamente ritmico, ma un qualcosa di più libero e vario, indipendente.
    Quì ha potuto finalmente dare sfogo a tutti gli arrangiamenti possibili in un contesto rigido di composizione, producendo una sorta di brano parallelo in cui talvolta dare riferimenti, e talvolta proporre sonorità più solistiche e abbellimenti. Ce n’è davvero per tutti i gusti, è assolutamente un’opera di incastramento continuo e programmatico: è bellissimo osservare tutti gli accenti meccanici e cadenzati del basso di Squire, sempre precissismo e potente nello slegarsi da Bruford e riabbracciarlo quando preferisce, disorientando l’ascoltatore senza perdere un briciolo del groove. Ed è impossibile descrivere a parole i quintali di vernice coi quali Steve Howe pennella e tinteggia ogni brano, passeggiando in lungo e in largo sulla tastiera della sua chitarra con una fantasia e una libertà ineguagliabili: tra lui e l’estroso, devastante, maestoso, definitivamente ineguagliato Rick Wakeman c’è di che rifarsi le orecchie perpetuamente, a vita.
    Gli Yes sono sempre stati, almeno finchè si proponevano come artisti progressive rock di stampo tradizionale, una fonte inesauribile di creatività e armonia. Con trenta secondi di ogni loro brano si fornirebbero idee per interi dischi di musica più sempliciotta, ed è una cosa, a mio avviso, che merita il massimo rispetto. Naturalmente, è vero, l’eccesso arrangiativo valica le possibilità umane più benevolenti, ma non è assolutamente il caso di “Close to the Edge”. Un brano come “And You and I” è di una eleganza assoluta, per nulla ridondante, e i suoi dieci minuti passano con scioltezza: togliere anche solo una nota equivale a smontare un capolavoro curato nel minimo dettaglio, arrangiato con classe ed emozionante in ogni suo istante.
    Ma, com’è ovvio, la parte più eccezionale di questa release è il brano che da il titolo al disco. Difficile da rendere a parole, così come è difficile parlare delle parole stesse! La sensazione, a mio avviso, è un mezzo delirio da funghettizzazione creativa… probabilmente Jon Anderson ha creato un testo molto evocativo come immagini e al tempo stesso ritmicamente adeguato al contesto in cui doveva calarsi: un brano mostruoso, in cui è facile perdersi, e in cui ogni strumento è esaltato al massimo delle sue possibilità espressive, prossimo, appunto, al suo “limite”. Dall’inizio vagamente etereo e rurale, tra cascate in lontananza e uccellini cinguettanti si finisce al jazz rock più tirato ed estremo, passando nel frattempo attraverso ogni ordine di suoni, compresa una sezione centrale vagamente neoclassica e perfino futuristica, grazie all’uso geniale del Moog da parte di Wakeman. La voce di Anderson, altissima e leggera, si adatta perfettamente al ‘mood’ sognante del brano, plasmandosi melodicamente e metricamente lungo tutti i venti minuti che lo compongono. Forse a qualcuno potrà non piacere per via della sua indubbia impalpabilità e del timbro a volte un po’ fiacco, ma le linee vocali, di squisita fattura, si stampano direttamente nell’animo e non le scalzerete finché avrete vita.

    Un brano esemplare per un disco di valore enorme, in cui scoverete chicche ovunque, specialmente se siete musicisti.
    Un prodotto caratterizzato da idee a profusione e un bellissimo artwork ad opera di Roger Dean, che meglio non poteva ricreare su carta il sound visionario e suggestivo della formazione inglese.

    Forse il disco migliore degli Yes; sicuramente uno dei migliori del prog rock tutto….

    …….scusate se ho fatto copia incolla ico07

    in risposta a: Consigli per gli Ascolti #12841
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    Kurt74 – 27/4/2008 5:39 PM

    portai anche il mio chitarrista che fece la marcia nuziale con la chitarra elettrica) ico01

    Il mio sogno ico14

    in risposta a: Magliette Ufficiali Nirvana Italia #22252
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    Kurt74 – 27/4/2008 5:31 PM

    qualcuno, di cui non faccio il nome, mi ha confessato che non la puo’ prendere perche’ verrebbe sgridato dalla mamma ico01 (non e’ uno scherzo)

    Ok, sono io

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