Home › Forum › Forum nirvanaitalia.it › X Kurt 74 e x ki è interessato(Definizione Metal)
- Questo topic ha 2 risposte, 2 partecipanti ed è stato aggiornato l'ultima volta 19 anni, 10 mesi fa da Flow.
-
AutorePost
-
19 Febbraio 2005 alle 10:01 #1528AnonimoOspite
Lello che ne pensi di questo……(xò lo devi leggere)
Il metal è una specie musicale del genere rock (come tale, si fa con tre strumenti: chitarra, basso, batteria) propria degli anni 80, che si caratterizza: ideologicamente per una concezione morbosamente e irrimediabilmente pessimistica (da qui l’adozione sistematica e ossessiva del colore “nero”), quando non per ritorsione sadica, della condizione umana e naturale viste come vortici di forze brute talora manicheamente (metal), talora nichilisticamente (heavy metal) intese, comunque sempre basate su una legge del male che appare come costitutiva all’esistenza; musicalmente il metal si caratterizza per uno sviluppo oltranzista della violenza e della velocità ritmica e timbrica del filone hard-rock anni 70, connotato invece da un approccio alla vita più ottimistico ed edonistico, nonché reazionario e attivo, stato che finisce per essere quello opposto e antitetico al metal.
Il metal è una musica epica: l’uomo è al centro del cosmo (quando, nelle versioni metal più raffinate e heavy non viene preso a soggetto il cosmo in quanto tale trapassando da un pessimismo storico a uno cosmico) e tutte le forze costituenti quest’ultimo si adoperano programmaticamente per far dannare il primo che volente o nolente, sia per vivere che per morire, deve combattere e farlo all’insegna di un’etica e una nobiltà di fondo e para-religiosa ignara al, e avversata dal, punk. Il messaggio metal finale è magniloquente ed enfatico quando non retorico: propugna ed esige una sopravvivenza incondizionata anche se contro tutto e tutti ovvero proprio perché contro tutto e tutti.Storia e fenomenologia del metal
Il metal contrariamente al punk (= Sex Pistols) non fu una rivoluzione ma una lenta evoluzione che parte dalla fine degli anni 60 (Deep Purple) benché si sia affrancato rivoluzionariamente dalla propria preistoria soltanto ad inizio anni 80 e con album e con artisti ben definiti. Come quella punk, quella metal fu una rivoluzione concettuale e musicale, in una parola “culturale”. Solo che essendo due culture diverse, l’una del “live fast and die young” (Circle Jerks), l’altra del “born to lose, live to win” (Motorhead) si estrinsecarono l’una in una stagione (1977), l’altra, dopo una decade di preparazione (anni 70), in un’altra decade almeno (anni 80).
Tecnicamente le prime avvisaglie metal (e dunque “altro” da esso) si ebbero in Inghilterra con i Deep Purple (vedi “In Rock”, 1970) del chitarrista pirotecnico Ritchie Blackmore, che a forza di iniezioni di inusitata velocità e potenza hard-rock al progressive-rock (Cream) si spinsero dove nessuno fino ad allora aveva mai osato giungere, qualificandosi come la band più rumorosa ed estremista dell’epoca (tutti i componenti del gruppo danno, letteralmente, il massimo nelle loro performance). I testi “scorretti”, anti-peace&love, preludono già a quelli che saranno i fasti metallici (fuoco, velocità, esplosione, violenza, male, dimensione cosmica) pur non calandosi ancora nell’ “altro mondo”, quello delle tenebre (a dire dei metallari, la verità esplicata di questo). Le tastiere che tanta parte hanno nel suono maligno e “in flambé” dei Deep Purple saranno successivamente adottate solo dai complessi metal meno ortodossi e in definitiva meno metal.
Se i Deep Purple iniziarono a dare l’ABC tecnico, i Black Sabbath (vedi “Paranoid”, 1970), inglesi anche loro, dettero quello contenutistico. A parte il significantissimo apporto alla tecnica-metal di Tony Iommy, che fu il primo a sortire dalla chitarra un suono sistematicamente oscuro, mefistofelico, opprimente, potente, i Black Sabbath furono seminali per quell’aura diabolica che immisero nel mondo rock. Con loro per primi si giunge a quell’universo parallelo, fatto di male, mostri e maledizioni, le immagini eclatanti ed espressionistiche del quale devono servire come allegoria per la comprensione della reale costituzione del mondo quotidiano.
I primi a usare la tecnica violenta e tagliente deepurpleiana (a cui aggiunsero l’uso sistematico del doppio pedale alla batteria, simbolo nonché espediente metal per eccellenza) per descrivere il vivere morendo in una necessaria consacrazione alle forze del male proprio dell’universo sabbathiano, furono ancora degli inglesi, i Judas Priest (vedi “Sad Wings Of Destiny”, 1976). Mentre come primo gruppo di rilievo proto-metal (specificatamente precursore del progressive-metal) d’oltreoceano si stavano qualificando i canadesi Rush (vedi “2112”, 1976), che costruivano un mondo parallelo sì, ma non stregonesco come quello sabbathiano, bensì fantascientifico e, talora, paradisiaco, i Rainbow di Blackmore e Ronnie James Dio portavano all’apice epico (ed ecco l’influenza sabbathiana) la lezione deepurpeliana (vedi “Rising”, 1976 ribadito da Dio con “Holy Diver”, 1983).
Contemporaneamente, mentre il 1976 si era rivelato come l’anno più importante per la preistoria del metal, l’Inghilterra vedeva l’attività di uno spregiudicato gruppo che, forte di tecniche di derivazione fondamentalmente garage-rock quando non rhythm and blues, sortiva i medesimi, se non maggiori, efferati effetti dei gruppi metal, partendo da una dimensione punk (dunque nichilista e non manichea) da sempre estranea e opposta alla congerie metal: erano i Motorhead (vedi “No Sleep ‘Til Hammersmith”, 1981) i primi a portare il metallo a uso e consumo della descrizione di frustrazioni (per via della svalutazione di tutti i valori) e mali del tutto realistici e quotidiani: saranno seguiti dai newyorkesi Plasmatics, piglio punk e suoni metal, di una delle voci più evocative e terrificanti della storia: Wendy Williams (vedi “Beyond The Valley Of 1984”, 1981).
Pur per diversi (i primi per la dimensione “punk”; i secondi per quella “underground”) motivi ideologicamente non riducibili al filone metal, fondamentali per la sua evoluzione oltranzista furono due dei gruppi più influenti della storia del rock: i D.R.I. che con il loro hardcore supersonico e miniaturizzato ne dettarono la velocità (vedi “Dirty Rotten LP”, 1983: l’album più veloce/violento di sempre), e gli Swans che con il loro industrial da cantautorato per zombie possono essere considerati il gruppo dal suono più pesante di tutti i tempi (vedi “Filth”, che non solo nel 1983 quando uscì, ma ancor oggi può essere annoverato tra i dischi più estremi in assoluto).
Molti gruppi di rilievo e in grado di comporre memorabili brani, tra fine 70 e inizio 80, tentarono di arricchire ed evolvere la lezione dei maestri. Fecero mille passi avanti verso la codificazione del metal (in alcuni brani già tale), ma senza tuttavia riuscire (tramite una significativa opera culturale: un album) a segnare un giro di volta decisivo e radicale come accadrà ad inizio ’80 (giro di volta che chiederà del tempo prima di essere assimilato: lo dimostrano i vari gruppi tra metal e hard-rock attivi per tutti gli anni 80 come i newyorkesi Twisted Sister di “Stay Hungry”, o i losangelesi “Wasp” dell’omonimo album, entrambi nel 1984). Questi gruppi furono (non a caso, vedi i maestri) tutti inglesi e furono detti far parte del movimento “NWOBHM” (New Wave Of British Heavy Metal), la versione metal del dark di fine ’70: erano i rockelleggianti Saxon (vedi “Wheels Of Steel”, 1980), le meteore Diamond Head (vedi “Lightning To The Nation”, 1980) in grado di fare un album compositivamente tra i più straordinari del rock tutto, ma penalizzati da una produzione scadentissima e da un suono troppo anni ’70 (eseguite diversamente, vedi i Metallica, le scritture di questi brani sono già in tutto e per tutto heavy metal), i blacksabbathiani Angelwitch (vedi “Angelwitch”, 1980). Fra costoro, all’inizio, fu annoverato anche il gruppo che a posteriori può essere considerato come il primo istituzionalizzatore in assoluto del metal classico: i londinesi Iron Maiden (vedi “Iron Maiden”, 1980) che sublimarono contenutisticamente e formalmente la lezione di Black Sabbath e Judas Priest: dopo di loro nessun album potrà dirsi metal se non prenderà come punto di riferimento i dettami (velocità, violenza, impianto sinfonico, testi e copertine horror) da loro stabiliti.
Gli Iron Maiden furono l’ultima e più matura propaggine partita dall’evoluzione del Deep Purple sound. Fino al 1980 il metal può essere considerato come un qualcosa di eminentemente inglese. Come il punk. L’America a quest’ultimo stava rispondendo con l’hardcore. Via hardcore troverà forma anche il “metal americano” (poi per estensione “heavy metal”). Prima di giungere a quel fatidico 1983, tre anni di espansione del discorso metal in tutto il mondo nonché di seminali quanto non decisivi ulteriori progressi (soprattutto in campo tematico) da parte di una serie di band storiche e indimenticabili: i tedeschi Accept (vedi “Restless & Wild”, 1982) e Scorpions (vedi “Blackout”, 1982) molto legati all’hard-rock vecchio stile tuttavia eccellenti per alcuni brani d’ “avanguardia metallica”: i primi predissero quello che sarà il “power-metal”, i secondi si avvalsero di tecniche di registrazione in grado di dare un suono terrificante e inusitatamente brutale per l’epoca (battuto solo da quello dei Motorhead); gli americani Warlord gettarono le basi del power-epic-metal (vedi “Deliver Us”, 1982), gli inglesi Venom (vedi “Black Metal”, 1982) introdussero per primi l’espediente vocale del “topo-in-gola” e si distinsero per una veloce-violenza giù preludente i Metallica nonché per un satanismo feticistico e spettacolare; i canadesi Exciter (vedi “Violence & Force”, 1983) consolidarono la preistoria del power-epic-metal che sarà, intensificando e semplificando vari espedienti Judas Priest; gli americani Motley Crue (vedi “Too Fast For Love”, 1982) sono tematicamente (causa “edonismo”) un gruppo hard-rock come gli Scorpions ma come questi hanno avuto un qualche ruolo nell’evoluzione del metal grazie a un suono senza compromessi, di una violenza, pesantezza e velocità mai sentite prima e ancor oggi (tra i pochi) in grado di assordare letteralmente l’udito.
Dopo che il 1982 era stato per il metal quello che fu il 1966 per il rock (proto-tutto ma ancora nulla di esplicitato prima dell’annus mirabilis 1967) nel 1983 i losangelesi Metallica fondano hardcore americano e metal inglese (già i Motorhead avevano avuto un’intuizione simile benché in modo meno sistematico e benché avessero avuto a disposizione esclusivamente garage-rock, hard-rock e rhythm and blues), compiendo una rivoluzione pari solo a quella dei Sex Pistols. L’ “heavy metal” si differenzia dal “metal” non soltanto (almeno agli inizi) geograficamente ma fondamentalmente per quell'”heavy” in più, qualcosa di apparentemente semplice ma che il rock ha impiegato quasi 20 anni per attuare. L’estremo si fa carne: velocità, potenza, ossessività, percussività compiute e formalizzate alla perfezione. Possiamo parlare di invenzione senza alcun dubbio. Il prima, in campo “heavy” può essere detto un niente. Dalle tematiche, per quanto orride, comunque “fantastiche”, per quanto alla ricerca di una interpretazione del nostro modo figurativamente attraverso un mondo parallelo degli Iron Maiden, si passa a puri concetti: realtà concrete in quanto universali e facenti tanto più paura e riflettere in quanto inchiodate sul punto del nichilismo, della morte, della sofferenza, del male di vivere. Per la prima volta non si reagisce più. Nemmeno il punk era arrivato a tanto. Nel punk si moriva veloce ma almeno prima si viveva qui (ed è lezione del “disumano” hardcore) viene messa in dubbio la consistenza ed il valore della vita in quanto tale.
“Kill ‘Em All” inventa il “thrash-metal” e lo “speed-metal” talora considerati come sottogruppi dell'”heavy-metal” (quindi ancora non siamo propriamente giunti all'”heavy metal” istituzionalizzato) ma che è più giusto tenere distinti da questo (dato che di questo vi è un esempio concreto e differente dal presente). Il “thrash-metal” è la versione più estrema meno melodiosa più essenziale del metal inizio 80. Forte di una particolare tecnica alla chitarra ritmica (“palm muting”), può dirsi la versione metal dell’hardcore dei D.R.I. (salvo identificare anche il suono di questi come thrash). Brani relativamente brevi (3-4 minuti) liriche-manifesto e di ambientazione metropolitana, trascuratezza negli arrangiamenti: tutti devono “picchiare” (“to thrash”) i loro strumenti nel modo più violento e ossessivo possibile (come un battipanni o una mitragliatrice, a seconda dei casi), poi un agonia di ritornello che ad altri volumi potrebbe dirsi quasi melodioso e quasi rock: comunque rigorosamente nessuno stacco, nessun rallentamento. Per questi c’è lo “speed-metal” che è una forma perfezionata, articolata, nobilitata e retoricamente arricchita del “thrash”: la batteria inizia a dialogare con gli altri strumenti che si lanciano in assoli distinguibili e più o meno hard-rock, le tematiche possono essere delle più varie e narrative, i tempi dei brani si allungano (spesso sopra i 5 minuti). Lo speed richiede, oltre che ovviamente una grande velocità esecutiva, anche un’elevata tecnica: il suo suono è più chiaro, preciso e pulito di quello del thrash e le note devono essere riconoscibili. Sia speed che thrash nacquero in contrapposizione al “melodico” NWOBHM, in uno scontro che può vedersi come quello tra città e campagna, nuovo e vecchio, realtà e fantasia, brutto e bello, e nichilismo manicheismo.
Con “Ride The Lightning” (1984) i Metallica inventano l’heavy metal sintetizzando speed e thrash all’interno di un unico brano che così diventa: lungo (sopra i 5 minuti), potente e veloce (ma spesso in alternanza di piano/forte fino a giungere a parti acustiche), tecnico, cantato senza urla punk, ma con compostezza più epica seppur non meno brutale: le tematiche esplicano concetti in esempi contestualizzati e non sono più o non solo un’arringa punk.
Nata la matrice si aspettano le varianti. Prima di queste però vi sono ancora varie fasi intermedie.
Dall’altra parte dell’America i newyorkesi Manowar (estranei anche geograficamente all’hardcore) parallelamente ai Metallica seguivano la loro via al metal, giungendo a sonorità per intensità pari a quelle dei Venom e quindi tra le più brutali in assoluto. Anche a livello di ideologia i Manowar si presentarono subito come portavoci di un mondo parallelo, come la scuola metal inglese più ortodossa (elusi quindi i suoi elementi più hard-rock) voleva, e non come diretti interessati al reale (salvo diventare il loro mondo come tale o comunque interpretante questo). All’inizio praticarono la loro missione ancora imbrigliati dall’hardrock ma già sul secondo album-capolavoro (vedi “Into Glory Ride”, 1983) approdarono a un heavy-metal (poi detto “epico”, ma ancora molto “esistenziale” cioè non d’evasione e quindi con tanto più valore concettuale) loro peculiare: né thrash, né speed, né Metallica. Tuttavia, come accade nelle invenzioni scientifiche coeve e indipendenti, il futuro metal si baserà tutto sui Metallica (che così possono esserne detti i padri), mentre solo una branca di questo (l'”epic”) si richiamerà ai Manowar che all’inizio “epic” non erano (né formalmente: molto meno power; né contenutisticamente: molto più interessati alla realtà) e in ogni caso passerà sempre attraverso la scuola Metallica. Oltre che sui Manowar i Metallica vinceranno anche sugli Iron Maiden, essenziale più di tutti ponte di unione tra vecchio e nuovo, tuttavia storicamente succube di una sorte simile (anche l’impianto tra realtà e fantasia, epos e quotidiano, del gruppo era simile) ai Manowar. Era una veloce violenza ciò che i Metallica avevano più di tutti gli altri e che costituirà l’ABC per il metal a venire (soprattutto degli anni 90) che può configurarsi così come una seri di sottospecie dell’heavy.
Prima di questo avvenire troviamo il caso inglese dei blacksabbathiani Mercyful Fate, un gruppo combattuto tra vecchio e nuovo perché nato nel bel mezzo della rivoluzione Metallica, che dimostra (a tanto maggiore merito dei Metallica) con un album capolavoro (vedi “Melissa”, 1983) come era più facile evolversi in campo “power” che in quello “thrash-speed”. Agli inglesi, come ai newyorkesi, era l’hardcore quello che mancava o che non sapevano utilizzare in funzione metal. Per lungo tempo (fino a che non v’è stata un’inconscia interiorizzazione ad inizio ’90 allorché si è capito che i medesimi contenuti potevano essere espressi tanto più agevolmente quanta più forza e potenza si aveva a disposizione) l’heavy si è identificato con il trash e lo speed contrapponendosi al power e all’epic che si rifacevano al metal classico degli Iron Maiden.
La metà degli anni 80 è l’epoca d’oro per il thrash e lo speed, soprattutto in America, dove operano i thrasher Exodus (vedi “Bonded By Blood”, 1985) e i Megadeth dell’ex membro fondatore dei Metallica Dave Mustaine (vedi “Peace Sells… But Who’s Buying, 1986). In Germania notevolissimi sono i Kreator (vedi “Pleasure To Kill”, 1986).
Il 1985 rappresenta un giro di boa dopo il quale vi sarà per cinque anni una concentrazione di gruppi rivoluzionari in grado di usare lo strumento-Metallica per i più svariati fini, tutti comunque imperniati verso una violenza e potenza sempre più crescente di suono.
In questa galleria verso il raggiungimento del suono oltre il quale è concepibile solo il disumano, troviamo per primi i maestri del thrash Slayer, losangelesi (non a caso), in grado di giungere (forti di un batterista eccezionale: Dave Lombardo) dove nessuno era mai riuscito prima e di consacrare definitivamente la fusion hardcore-metal: come se i Metallica interpretassero i D.R.I: “Reign In Blood” (1986) è l’album rock più estremo di tutti i tempi.
Contemporaneamente, viene fuori il fattore “scandinavo”: come c’è stato il NWOBHM ecco lo “scandinavian metal”: un filone che giunge fino ai nostri giorni e che ha fato la parte del leone in campo metal per tutto questo periodo. Ciò grazie alla sua estremità, a partire dalla quale (essendo un limite o tetto) possono essere modulate tutte le ambientazioni e applicazioni desiderate. Al fondo, vi è il concetto “fantasioso” Black Sabbath (estraneo ai “realisti” Metallica) di un mondo mefistofelico popolato di forze maligne leggendarie e sanguinarie, epiche e sadiche (si noti: mentre Black Sabbath e Iron Maiden erano grandi proprio perché mantenevano o usavano i mondi paralleli per spiegare il nostro, qui la corrispondenza viene a mancare e il nostro mondo non offre più alcun interesse). Più che un mondo d’evasione si crea un mondo di tortura, nel migliore dei casi buono come elemento catartico per gli stress del nostro: suoni e voci (vedi “topo-in-gola”) estremi e da incubo, battaglia o tortura. Un martellare e persistere poi in questi che quando riesce sfigura la realtà sbaragliandone l’essenza più profonda e brutale, quando non rimane (come in tante band di oggi) un fine a se stesso stupido e impacciato.
Ai tempi di nascita il filone “black” (poi, nella sua variante più “urbana” ed estremista “death”) fu una grande rivoluzione (chissà se i padri Venom sarebbero arrivati a tanto con altri mezzi a disposizione?) e tanto più quanto veniva da terre fredde ed estranee oltre che dal centro della civiltà occidentale, dal rock. I Bathory erano svedesi (vedi “Under The Sign Of The Black Mark”, 1986), i Mayhem norvegesi e i primi dopo gli ispiratori Mercyful Fate (il cui leader King Diamond nel 1986 dà l’atmosferico power-sabbath di “Fatal Portrait”) per davvero satanici (vedi “Deathcrush”, 1987).
Seme per il filone estremo ed epico-satanico-gotico venne da un’altra terra sorprendente: la Svizzera; si incarnò nei Celtic Frost (vedi “Into The Pandemonium”, 1987).
Gli svedesi Candlemass (vedi “Nightfall”, 1987) impreziosiscono il dark-metal inventando l'”epic” moderno da cui deriverà il “progressive-metal” di oggi (debitore anche del power-speed dei tedeschi Halloween, di cui vedi “Walls Of Jericho”, 1986) che tecnicamente deve molto alla magniloquenza chitarristica neoclassica dello svedese (… guarda un po’) Malmsteen (vedi “Rising Force”, 1984).
Mentre i newyorkesi Antrax tengono alto impreziosendolo lo stato thrash (vedi “Among The Living”, 1987), l’estremismo sonoro si libera dalla gabbia feticistico-satanico-epica delle terre scandinave per tornare agli incubi cittadini e a un realismo espressionistico trucemente ossessivo e pervasivo, che vede l’essenza del tutto in una cieca conflagrazione di forze guidate dal caso: dalla Florida i Death (che ripartono dal “dark” dei Bathory e dei Mayhem) trasfigurano violentandolo il thrash e fanno uso sistematico dell’effetto vocale (il rantolo gutturale e profondo tutto-deformante bestiale e autodistruttivo in un’autodistruzione che è necessità di sopravvivere come necessità del patire proprio del metal-estremo) “topo-in-gola” inventando il “death metal” (vedi “Leprosy”, 1988); gli inglesi Napalm Death (i primi della madrepatria ad accogliere la lezione fusion metal-hardcore) inventano fondendo death (topo-in-gola), thrash e hardcore il “grind-metal” (vedi “Scum”, 1987).
Intanto i Testament da San Francisco mantengono alte le sorti dell’heavy metal più ortodosso comunque impreziosito di toni epico-retorici (vedi “The Legacy”, 1987), i canadesi Voivod portano (con cambiamenti di tempo vertiginosi, partiture geometriche e ipnotiche, modi disumani, apatici ed extraterrestri) l’heavy (di cui dimostrano la versatilità, e della cui violenza si servono solo quando serve) a vertici post-industriali atti a esprimere contenuti post-mederni (vedi “Nothingface”, 1989), e i losangeliani Jane’s Addiction giocano sul metal a mezzo funk e cabaret per un’ironia amara e alienata che vuole rappresentare la malinconia esistenziale (vedi “Nothing’s Shocking”, 1988).
Il metal può dirsi concluso nella sua missione con l’opera di cinque gruppi che portano alle estreme e insuperabili conseguenze la sua scala evolutiva verso sonorità sempre più violente, veloci e disumane: gli svedesi Entombed applicarono il “death” a mezzo onnicomprensivo di espressione deformante dei più svariati contenuti (nella fattispecie horror-fantasy pur sempre attaccati alla realtà: vedi “Left And Path”, 1989); i Carcass svilupparono il “grind-metal” inglese incorniciandolo nelle nefandezze di una sala operatoria sadica e post-industriale con un suono così estremo in termini di velocità e ossessività potente da, risultando intelligibile, sortire quasi l’effetto contrario (vedi “Necroticism: Descanting The Insalubrious, 1991); i losangelesi Dark Angel del misantropo e complessato batterista Gene Hoglan, tra death e thrash realizzarono un tour de force infernali tra i più estremi alienati e disumani della storia e tutto imperniato nella vita tragica e mostruosa metropolitana (vedi “Times Does Not Heal”, 1991); i texani Pantera sono i padri del metal-rock del 2000 (senza senso detto “nu-metal”) innestando in un impianto death-thrash espedienti e tematiche american-hard rock (nessun mondo parallelo: solo realtà e della più cruda) con un aggressivo e oltraggioso speaking-rap (vedi “Vulgar Display Of Power”, 1992); gli inglesi inventori del “gothic” (altra applicazione del “death” di grande diffusione tra le band in cerca di mondi paralleli e fantasy nell’ultimo decennio) furono i Paradise Lost (vedi “Gothic”, 1991).
Negli anni 90 sono stati resi solo più popolari e fruibili (facili nel messaggio) i vari filoni metal già espressi negli anni 80. Questi erano sostanzialmente riconducibili a tre: metal classico (da cui prenderà le mosse il power-epic e solo qualche cadenza il pur permanente metal-hard rock tradizionale), heavy metal (nelle sue varianti speed e thrash) e death metal (con il seguito di dark e grind). Se negli anni 80 il metal-medio era quello thrash, negli anni 90 divenne quello power-progressive. Il progressive (reso famoso dai Queensryche e commerciale dai Dream Theater a fine anni 80, che lo presero da Accept, Malmsteen, Mercyful Fate e Halloween) è un filone enfatico e magniloquente che si basa su tecnicismi vocali (il falsetto) e strumentali (uno speed da scuola e spesso fine a se stesso) per declamare un pomposo post-romanticismo conteso tra ambientazioni epico-fantastiche e metropolitane-hard rock. Nella sua variante epic-power è un pullulare, sulla scorta della new-age, di storie-ambientazioni ripescate qua e là dagli scrittori fantasy, comunque situazionalmente più apprezzabili di quando il progressive fa il romantico-retorico coll’hard-rock. Si veda per l’epic-power i sinfonici tedeschi Blind Guardian di “Nightfall In The Middle-Heart” (1998) e per il progressive-fantasy gli svedesi Stratovarious di “Visions” (1997).
Sempre nel settore “mondi-paralleli” pur non inventando nulla di nuovo, si distinsero nel “post-metal” per particolari lavori apprezzabili attualizzatori del “doom” sabbathiano (l’effetto chitarristico inventato da Iommy che dà al suono quell’incedere scuro, lento e stregonesco) gli inglesi e molto affascinanti nel loro compromesso tra romanticismo e attualità Anathema (vedi “The Silent Enigma”, 1995) e i portoghesi e black gothic Moonspell (vedi “Wolfheart”, 1995). Più decisi sul black-metal satanico e sinfonico gli svedesi Emperor (vedi “In The Nightside Eclipse”, 1995). Alla “scuola di Goteborg” appartiene il death-metal essenziale ed esistenzialistica (molto hardcore) degli At The Gates (vedi il capolavoro “Slaughter Of The Soul”, 1995) considerabili come l’ultima metal-band della storia.
Dalla parte esistenzialistica-realistico-concettuale prendono le mosse dagli estremisti underground-noise Helmet (vedi il capolavoro nichilista-Swans “Strap It On”, 1990) e Pantera (metal-industrial-hardcore-rap per cui vedi “Vulgar Display Of Power”, 1992) le più dirette fonti di copiatura dei nu-metal attuali (siamo in ambiente americano): i Korn (vedi “Korn”, 1994) e i Deftones (vedi “Around The Fur”, 1997) in grado di fare occasionalmente ottime e catartiche composizioni, e preceduti dai più rock-rap Rage Against The Machine (“Rage Against The Machine”, 1992). In questo medesimo contesto, un discorso a parte meritano i floriadiani Marilyn Manson, che hanno riproposto l’estremo garage-rock (vedi Stooges) dei Plasmatics in chiave post-moderna (vedi il metal-industrial, ispirato dagli Swans, dei Nine Inch Nails di “Pretty Hate Machine”, 1989) tra esistenzialismo (vero) ed esaltazione sovrannaturale (più o meno truccata) comunque sempre sotto l’egida di un nichilismo totale ed irremovibile (vedi “AntiChrist Superstar”, 1996).
Il thrash enfatico dei Testament viene ottimamente “industrializzato” verso il post-modernismo dagli americani Machine Head (“Burn In My Eyes”, 1993) e Fear Factory (“Demanufacture”, 1995), reso addirittura “etnico” dai brasiliani Sepultura (“Roots”, 1996).
Eccelsi prodotti post-metal hanno poi dato due gruppi newyorkesi nati a metà anni 80: gli alienati, nichilisti al pari solo dei padri “industrial” Swans, Prong (vedi il capolavoro “totale” falcidiante e scoratissimo “Rude Awakening”, 1996) e i classic-metal/hard rock Savatage del concept tanto enfatico quanto riuscito “Streets” (1991).
Pienamente d’epoca post-metal possono essere considerati i newyorkesi Type O Negative (vedi “Slow, Deep And Hard”, 1991) che con il loro underground-industrial-gotico fanno però l’opposto degli altri complessi post-metal (basandosi comunque sulla lezione del sinfonico-thrash dei nichilisti ed erotomani post-era-industriale Dark Angel): mentre questi semplificano enfatizzandoli e contaminandoli (rendendoli in definitiva più “chiari” e “diretti”, in forza anche di un generale progresso squisitamente tecnico soprattutto in fase di registrazione e amplificazione) gli stilemi metal anni 80, il post-metal Type O Negative, molto debitore della no-wave e del noise, può essere considerato come uno “slow-metal” in “lo-fi” più vicino ai Pussy Galore o agli Slint che ai Death: o come se questi rifacessero i primi; più vicino all’atteggiamento nichilista in sordina post-rock (Fugazi, Jesus Lizard) che al nichilismo esplosivo (e non implosivo) post-metal (Korn, Fear Factory).
Gli album post ’91 possono essere considerati la risposta post-metal al post-rock di Fugazi, Jesus Lizard e Jon Spencer Blues Explosion. Il post-metal ha commercialmente spopolato nelle sue varianti progressive-power (soprattutto) e death-black, e ancor oggi con il nu-metal che, non sapendo più cosa prendere, è ritornato al vecchio rock-rap peraltro tuttora (anche se stancamente) in voga. Ed è sicuramente più popolare il post-metal del post-rock, visto questo come musica “alternativa”: infatti il post-rock deve vedersela con l’onda commerciale delle petulanti rock-band retrò attuali, mentre il post-metal (ovviamente ritenuto new-metal) non ha un movimento a sé esterno che si rifaccia più direttamente, e in modo da plagiarli, ai classici.
Tutti i gruppi non menzionati in questa scheda sono da ritenersi o non-metal o non importanti per lo sviluppo del genere.19 Febbraio 2005 alle 17:54 #9852Kurt74Amministratore del forumE’ stata una faticata.
Onestamente la cosa che non avevo mai sentito e’ la differenziazione fra Metal ed Heavy Metal. Ho 30 anni ma e’ la prima volta che la sento. Se l’e’ inventata lui di sana pianta, pero’ c’e’ da dire che le etichette sono abbastanza soggettive e quindi ogn’uno e’ libero di interpretarle a modo suo.
L’unica cosa antipatica e’ che in tutto il testo si notava una certa saccenza che, personalmente, mi infastidisce, e quando alla fine ho letto l’ultima frase, dove dice che i gruppi non menzionati non sono importanti, allora ho avuto la conferma.
Come si puo’ fare un’analisi personale di un genere cosi’ vasto come il Metal e pretendere di riassumerlo in una 20ina di gruppi ?
Lo si puo’ fare solo pensando di essere vicino alla conoscenza assoluta divina, che cazzo almeno l’apertura mentale di dire “spero di non dimenticare nessuno importante”, mi sarebbe bastato.
Grazie comunque Flow, e’ stata una lettura interessante.20 Febbraio 2005 alle 12:17 #9853FlowPartecipanteDi niente era quello che volevo sentirti dire… nche io ho notato un pò di presunzione cmq nevermind….
-
AutorePost
- Devi essere connesso per rispondere a questo topic.